CHI CREDI DI ESSERE?
Abbiamo verificato che, tutto sommato, la morte in quanto attimo fuggente non è poi così tremenda. È un attimo! Appunto! Il filosofo greco Epicuro affermava come non fosse il caso di temere la morte, perché, quando c’è lei non ci siamo noi, e quando ci siamo noi, non c’è lei.
Ma perché, allora, tanta difficoltà dall’incontro con questo momento esiziale dell’esistenza?
Perché tanta fatica nel confrontarsi con la verità di noi e del mondo?
Perché l’aspetto difficile della faccenda non è affrontare la nostra morte, quanto viverla in quella delle persone che amiamo o che ci sono vicine, vederle soffrire, vederle andarsene, rinunciare a loro, per sempre.
Ragioniamo intorno a questa dimensione facendoci provocare da alcune scene tratte dal film belga “Il figlio” del 2002, che vede i fratelli Dardenne come registi.
Olivier, fa l’insegnante in un istituto professionale. È un Esperto di falegnameria, conosce tutti i tipi di legno, crea cose, fabbrica porte, scale, pialla, incolla e insegna a ragazzi non proprio facili un mestiere. Olivier ha vissuto una tragedia: durante un furto nella sua auto, 9 anni prima, un gruppo di ladruncoli uccide, perché sorpresi all’improvviso e spaventati, il suo unico figlio. Una ferita indelebile, una morte inaccettabile e insopportabile perché un padre dona la vita e farebbe di tutto per far vivere un figlio. Tra gli assassini di suo figlio c’è anche Francis, 11 anni all’epoca dell’omicidio, 18 al momento di svolgimento della vicenda. Il tribunale concede a Francis, catturato e imprigionato, la possibilità di uscire dal riformatorio per imparare un mestiere e rifarsi una vita. Per sbaglio il ragazzino viene inserito proprio nella classe di Olivier. Nessuno sa chi sia o cosa abbia commesso, solo Olivier lo sa, perché lo riconosce, all’istante.
Perché Olivier, accetta Francis nella sua classe di apprendisti falegnami? Cosa vuole fare? Cosa faremmo noi?
Queste domande ci accompagnano da subito. E da subito il gruppo di filosofi affronta la montagna di dolore e di morte che li fronteggia e da subito emerge il proposito più facile e più ovvio: Olivier può vendicarsi!
Un giorno, uscendo da scuola, Marguerite, ex moglie di Olivier, lo aspetta all’uscita e gli domanda se il ragazzino biondo, minuto e spaurito, che attende in auto, è proprio il mostro che ha tolto la vita al suo bambino. Olivier annuisce e Marguerite gli domanda: “Ma chi credi di essere?” per svenire subito dopo, spezzata da dolore.
Questa domanda perseguita anche noi e proviamo a rispondere, con scarso successo.
Di fronte alla sfida della vita, e della morte, anche noi ci domandiamo chi siamo veramente.
Olivier invita Francis, che non sa minimamente con chi ha a che fare, ad andare con lui, un sabato mattina a prendere delle tavole presso un deposito di legname. Durante il viaggio l’adolescente chiede a Olivier di diventare il suo tutore legale, manifestando all’insegnante una grande fiducia e un sincero affetto, nonostante il professore non manifesti, nei suoi confronti, particolare tenerezza. Nella falegnameria deserta Olivier rivela la sua identità a Francis. Il ragazzo fugge spaventato perché teme la vendetta di Olivier. Si svolge un inseguimento che si conclude nel bosco adiacente il deposito quando Olivier raggiunge Francis e lo blocca a terra.
“Ora lo uccide, soffocandolo” Fanno il tifo i filosofi!
Invece Olivier lo lascia andare e torna a caricare il suo furgone. Dopo un po’ arriva anche Francis, e si mette ad aiutarlo. Ora Olivier, con il suo silenzio operoso e il suo sguardo di padre severo ma autentico ci rivela chi crede di essere.
Già il grande filosofo Kant affermava che dalla presa di contatto effettiva, critica e consapevole con se stessi, si sviluppasse la coscienza della propria identità.
Idealmente Olivier risponde a Marguerite: la morte, il limite estremo, svela a Olivier chi egli sia veramente, la morte gli rivela la sua identità, senza sconti, senza mollezze e tenerumi: Olivier è un uomo, è un padre, e i padri danno la vita.