UN PENDOLO
Nella formazione dell’epica partita di calcio tra filosofi della Grecia antica contro quelli della Germania ottocentesca, vinta uno a zero dai greci grazie all’intuizione del geniale Archimede, militava anche il celebre Arthur Schopenhauer. Pensatore di fine ottocento, profondamente anti-razionalista e avverso alle teorie dell’ottimista Hegel scrisse parole epocali sulla natura dell’esistenza umana nella sua celeberrima opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”: le leggiamo insieme e le riportiamo qui di seguito:
Ogni volere proviene da un bisogno, cioè da una privazione, da una sofferenza. La soddisfazione vi mette un termine; ma per un desiderio che viene soddisfatto, ce ne sono dieci almeno che debbono esser contrariati; per di più, ogni forma di desiderio sembra non aver mai fine e le esigenze tendono all’infinito: la soddisfazione è breve e avaramente misurata. Ma l’appagamento finale non è poi che apparente: ogni desiderio soddisfatto cede subito il posto ad un nuovo desiderio: il primo è una disillusione riconosciuta, il secondo una disillusione non ancora riconosciuta. Nessun voto realizzato può dare una soddisfazione duratura e inalterabile; è come l’elemosina che Si getta a un mendicante, che gli salva la vita oggi per prolungare i suoi tormenti sino all’indomani. Finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà, finché ci abbandoniamo all’impulso dei desideri con la loro alternativa di timori e di speranze, finché, in una parola, siamo soggetti del volere, non ci saranno concessi né felicità duratura né riposo. Inseguire o fuggire, temer la sventura o anelare alla gioia, è in realtà la stessa cosa; l’inquietudine di una volontà sempre esigente, in qualunque forma si manifesti, riempie ed agita incessantemente la coscienza; ora, senza tranquillità, nessun vero benessere è possibile. Già nella natura incosciente, costatammo che la sua essenza è una costante aspirazione senza scopo e senza posa; nel bruto e nell’uomo, questa verità si rende manifesta in modo ancor più eloquente. Volere e aspirare, questa è la loro essenza; una sete inestinguibile. Ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore. Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. Donde lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo ricacciati nell’inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all’infuori della noia.
Secondo l’autore l’unico motore dell’esistenza umana è il desiderio che si esprime in una irrefrenabile, irriducibile e inesorabile volontà. Ogni desiderio ne alimenta altri, e la soddisfazione di esso è come un’elemosina che ci soddisfa per un breve istante senza mai essere risolutiva, una goccia che cola in una gola riarsa, che avrà sempre sete. Il vuoto o il nulla assediano la nostra vita, un po’ come nel celebre fantasy “La storia infinita” dello scrittore Michael Ende
il vuoto diventa fastidio della vita, diventa quella noia di cui stiamo parlando ultimamente. Scrive Schopenhauer: “la vita oscilla come un pendolo, fra il dolore e la noia”.
A questo TIC TAC aberrante si può reagire in tre modi secondo il filosofo: attraverso la bellezza dell’arte, attraverso la carità solidale ed empatica e attraverso l’esercizio dell’ascesi che porta alla negazione della volontà. L’uomo, secondo Schopenhauer, riuscirebbe a compiere questa elevazione personale tutto da solo, senza l’aiuto di alcun Dio. Il poeta italiano Giacomo Leopardi riprese questi temi e li trasformò nella sua poesia. Leggiamo insieme “A Silvia”, la lirica in cui la bellezza, la grazia e i sogni di questa ragazza si identificano con le aspirazioni del poeta. Poi, però, la Natura non mantiene le sue promesse e nulla resta di ciò che era stato prefigurato, la ascoltiamo dalla voce dell’attore Arnoldo Foà:
Il vuoto e il nulla, la noia, non ottengono riconoscimento solo dai versi del poeta di Recanati. Ritroviamo gli stessi toni nella vicenda di due fratelli narrata nella canzone di Samuele Bersani “Chicco e Spillo”. Questi due fratelli conducono la loro esistenza in una periferia qualsiasi e cercano di “rubare” un senso possibile. Ma la vita è inesorabile e, così, il loro destino si perde: