04 – Le caratteristiche 5 e 6 del populismo
Dopo un breve riassunto degli incontri precedenti, iniziamo anche questo appuntamento con un gioco di ruolo: alcuni studenti si immedesimano in situazioni-tipo, improvvisando con molta abilità, per lasciare spazio al primo dibattito. Quali collegamenti sono operabili fra le tre scene rappresentate? Rispondono i ragazzi: maleducazione, arroganza, non rispettare le regole e quindi trasgressione, c’era una figura autorevole che non veniva ascoltata ed era anzi denigrata; il ruolo non era rispettato; c’erano confusione e disordine, alcuni soggetti erano inclini alla violenza; nonchalance delle persone maleducate e la difficoltà delle educate ad essere ascoltate; la situazione portava una persona educata a diventare maleducata si è arrivati al punto di rottura (imputato è stato allontanato, l’autista è stato arrestato, la mano della prof. è rossa per il battere furioso sulla cattedra).
Tutto ciò ci permette di scoprire la quinta caratteristica del populismo: il popolo contro le élite, la visione messianica e moralistica della politica. Con parole nostre abbiamo ragionato, facendo emergere che con la prima eccezione il populista è il salvatore della società e la sua verità è assoluta anche se non coincide con i fatti. Si perde quindi l’oggettività della realtà, cioè la, coscienza: non capiamo più cos’è vero e cos’è falso/giusto e sbagliato. Con il secondo passaggio, quello moralistico, i populisti fanno la predica senza andare alla ricerca delle spiegazioni che motivano i problemi della realtà che essi stessi vivono. Contrappongono così l’idea del popolo (non un insieme di cittadini – con dei diritti – ma una massa senza troppi valori) che è puro (senza peccato) alle élite corrotte (banche, tutti gli altri politici, multinazionali).
Il libro di Occhetta ci offre uno spunto: “Negli anni 50 gli allievi di Max Weber lo avevano anticipato (…) sottolineando che i populisti erano l’espressione di ansie e rabbie di masse psicologicamente abbandonate”. Quali possono essere oggi queste ansie e rabbie? Per gli studenti sono rappresentate dagli anziani lasciati soli a casa, le persone che sono state sfrattate, chi è senza lavoro, chi non ha più affetti, gli scontenti della vita (la causa è nello Stato non in qualcosa che ho fatto, quindi non si crede più nella giustizia) che non cercano la causa al problema ma vogliono solo che si trovi una soluzione, chi ha paura. Proseguiamo: esistono oggi delle parti più isolate della società? Si: chi non vive in una condizione vantaggiosa (periferie grandi città, gli stranieri non integrati), chi ha paura di…perdere il lavoro, delle periferie, degli stranieri; chi non corrisponde al prototipo ideale di cittadino, uno che non porta guai…
Emerge quindi il collegamento tra queste due analisi, solo apparentemente divise. Il collante è la paura: se non c’è, la si crea…
“Ecco allora il disegno dei populisti di costruire un sistema di diritti (percepiti) senza democrazia
e il sogno di costruire una democrazia senza diritti”. Ci viene in aiuto una studentessa di quinta, collegando a questo argomento la Democratura (A. Giddens, sociologo): quando la democrazia si unisce alla dittatura (Corea del Nord, Russia). In quello Stato ci sono tutte le forme di una democrazia (elezioni, più partiti, diverse testate giornalistiche), ma sono solo di facciata; i cittadini hanno diritti formali ma non sostanziali.
Possiamo così approcciare la seconda fase dell’incontro del Laboratorio di cittadinanza, scoprendo la sesta caratteristica dei populismi: la delegittimazione delle istituzioni. “I tempi di crisi finanziarie e la paura delle migrazioni sono una sorta di terreno in cui il seme del populismo germina e porta frutto. (…) I populismi sono movimenti politici che mettono in crisi la democrazia rappresentativa e il ruolo dei Parlamenti, in cui si discutono e si mediano gli interessi e le forme di deliberazione democratica (…)
Si è creata la «popolcrazia»: dal demos (titolare del potere) al popolo, comunità indistinta, unita da confini e nemici. I nuovi populisti condividono l’avversione verso i capi, le burocrazie, gli stranieri, gli islamici, l’UE.” (Ricostruire la politica, F. Occhetta, pag.36).
La discussione divampa: siamo di fronte ad un cortocircuito:
- i populisti sono politici; i politici sono l’élite, i populisti …non sono l’elite…?!
- per cambiare le cose serve il potere, ma a potere raggiunto…ci sono dei vincoli (costituzionali, europei, trattati, alleanze…
Tutto ciò che mette ostacolo «al popolo» è élite (dice qualcuno) quindi anche la Costituzione (domanda un altro)? No perché ci sono diritti (chi andrebbe contro?) e il populista propone diritti apparenti…ma chi la legge la Costituzione (soprattutto se appartiene a masse isolate e abbandonate)? A questo punto, nella post verità, è facile che si affermi che se la Costituzione è un ostacolo, allora è anch’essa élite, e il Parlamento è espressione della Costituzione (quindi dell’élite anch’esso).
Allora, se il populista fa una proposta di legge e gli viene detto essere anticostituzionale, la Costituzione è diventata un limite e perciò il nemico del politico, quindi – per trasmissione – nemica del popolo.
Nello scenario emerso da questo appuntamento, concludiamo che la paura è il filo conduttore:
- il populismo genera confusione tra destra e sinistra, tra fascisti e comunisti, tra il bene e il male, giusto e sbagliato;
- ella confusione si annida la paura, che è come un fuoco: va instillata nelle persone un po’ alla volta, lentamente, altrimenti non attacca. Ma una volta divampata, brucia qualunque cosa (compresa l’idea della Costituzione come nemica);
- i populisti non sono quattro sciocchi, non è un fenomeno nuovo (antica Grecia, Roma, 50 anni fa Weber, oggi…). Allora ci chiediamo: che cos’è che la democrazia non ha ancora capito dal passato? Perché le soluzioni adottate finora non sono state sufficienti? Cosa non stiamo facendo oggi di fondamentale per dare vita alla democrazia?